Cappella Farnese di Palazzo d’Accursio (Piazza Maggiore, 6 – Bologna)
15 settembre 2017
Ingresso libero
Roberto Cresti, Università di Macerata,
condurrà i seguenti incontri:
ore 15.00-15.40
Un ricordo di Leo Longanesi a sessant’anni dalla morte.
Nel 1957, un arresto cardiaco eliminava, a soli cinquantadue anni, mentre stava lavorando nella redazione del «Borghese» a Milano, uno dei protagonisti del giornalismo e dell'editoria italiani, Leo Longanesi. Testimoni hanno riportato che le sue ultime parole furono: «… come avevo sperato: fra le mie cose e alla svelta». Erano parole nelle quali si poteva leggere lo spirito, a volte venato di un profondo cinismo, col quale il giornalista-scrittore (oltre che notevole grafico), si era posto in rapporto alla vita in genere e alle vicende dell’Italia, prima monarchica e fascista poi repubblicana e democratica, fra nostalgie, rancori, idiosincrasie da tipico borghese del secolo passato.
Ma, fra le tante contraddizioni, anche esistenziali, in cui Longanesi si dibatté, non venne mai meno in lui una voce “controcorrente”, che si ascolta da racconti, articoli, frammenti di scrittura, motti folgoranti («Bisogna trovare un fratello al milite ignoto») e che è l’eredità più vera ch’egli abbia lasciato, naturalmente senza volerlo.
È una voce che investe anche Bologna (Longanesi era nato a Bagnacavallo, ma aveva studiato al liceo Galvani e all’ateneo della nostra città, ove visse fino ai primi anni ’30) e che vale la pena riascoltare perché non si appunta solo su questioni locali, ma, per loro mezzo, tratta della vita nazionale e del suo spirito non sempre encomiabile.
A Bologna e nell’Italia a essa “circostante”, fra la fondazione di riviste piccole e grandi e infine, a Milano, della casa editrice che porta il suo nome, l’opera di Longanesi mostra un metodo critico che prescinde dai suoi stessi contenuti, ponendo in ridicolo la cortigianeria, l’opportunismo e ogni forma di “correttezza” ideologica. Indro Montanelli diceva che essa era stata il prodotto di un maestro: forse l’ultimo.
ore 16.00-18.00
con intervallo di 15 minuti dalle 16.45 alle 17.00
Dalla “resistenza” alla “autoprogettazione”
Ludovico Barbiano di Belgiojoso, celebre architetto italiano del XX secolo, sosteneva di doversi occupare «[…] della struttura e della qualità dell’ambiente urbano, di quella parte della città che riguarda lo spazio pubblico, uno spazio che, pur creato dagli edifici, ha una entità, una individualità in sé, indipendente da essi». Egli poneva così una questione intimamente civile, che, anche oggi, pur in un contesto storico mutato (Belgiojoso scriveva alla fine degli anni ’70 del Novecento), mantiene una sua attualità, e che va affrontata soprattutto con la consapevolezza di vivere in un tempo nel quale le città non sono più organismi destinati a un progresso e a un’espansione a tempo indeterminato, ma sono in un certo senso “tornate su se stesse”, cercando di curare le lacune prodottesi nel loro corpo per una eccesso di espansione verso la periferia. Un fenomeno, quest’ultimo, che ha desertificato il centro per abbandono o per la concentrazione in esso di fasce sociali marginali e improduttive.
L’iniziativa del Comune di Bologna di intraprendere una riqualificazione, a vari livelli, del Distretto Montagnola e Stazioni di Bologna, tra il viale di circonvallazione e la Piazza VIII agosto (ove sorgeranno a breve una nuova uscita della stazione centrale per le linee ad alta velocità, una ristrutturata e potenziata stazione delle corriere e la velostazione), si inscrive in questa tendenza. E ad essa saranno chiamati a concorrere vari soggetti operanti nell’area urbana. In questo contesto il gruppo Mare Termale Bolognese, da sempre in prima linea nella cura della città anche dal punto di vista dello stile di vita e del benessere, attiva un cantiere intellettuale volto a formulare proposte in grado di dare al progetto una qualità al tempo stesso umana ed estetica.
Si tratta, in primo luogo, di creare un “clima immaginativo” cui possano concorrere competenze professionali già acquisite o in via di formazione (soggetti affermati nel lavoro o giovani in cerca di strumenti d’espressione e d’occasioni di impegno da cui trarre esperienza), un clima al quale possono dare un apporto formidabile alcuni modelli artistici e architettonici che abbiano anche un valore etico e che vedano l’arte in genere rimodellarsi, in modo plastico, nelle dinamiche dello spazio urbano.
Non si tratta di un fenomeno recente. Dopo la Seconda guerra mondiale il tema della “resistenza” non ha corrisposto solo a eventi bellici, ma è divenuto la metafora di uno sforzo di mantenere fermi alcuni valori nelle avversità più radicali, anche in quelle prodotte dal “progresso”. Gli artisti vi hanno contribuito in vario modo, in un tempo che si prolunga per tutta la seconda metà del Ventesimo secolo e oltre.
Georg Baselitz [pseudonimo di Hans-Georg Rem] (1938), uno dei maggiori pittori e scultori tedeschi contemporanei, ha realizzato, negli anni ’60, un ciclo di dipinti (in parte raccolto di recente da una grande mostra romana al Palazzo delle Esposizioni), intitolato provocatoriamente, ma con intento costruttivo, Gli eroi (Die Helden). Vi si trovano figure solitarie di reduci da tutti i fronti: da quello della guerra vera e propria del 1939-1945, a quelli del dopoguerra che, nella Germania ridotta a un cumulo di rovine e divisa in due nazioni (Baselitz nacque nella allora Germania Democratica) hanno mantenuto a lungo, in termini morali, un’analoga tragicità. Si testimonia così una “resistenza” che guarda al futuro senza dimenticare il passato e che, al contatto con gli orrori della storia, trova una nuova ragione per l’arte.
Friedensreich Hundertwasser [pseudonimo di Friedrich Stowasser] (1928-2000), pittore e architetto austriaco, costituisce un esempio di creatività nata dal legame con nobili memorie artistiche europee, ossia dall’eredità della Secessione viennese (in particolare dagli “eretici” del Gruppo Klimt, Egon Schiele e Oskar Kokoschka), ma immersasi, successivamente, in un’epoca storica sfigurata dalle distruzioni della Seconda guerra mondiale, dagli inizi e dagli sviluppi dell’era atomica e dal dominio della tecnica. Hundertwasser ha reagito a questi eventi, non solo radicando l’attività pittorica in uno stile espressionista sempre più violento, con l’intenzione di affermare le ragioni della vita su ogni impedimento e sfruttamento materiale o morale, ma anche attuando un ecologismo militante che ha poi tradotto in grandi progetti di risanamento di spazi urbani particolarmente degradati dall’industria. I suoi interventi e progetti si sono diffusi dall’Austria fino alla Nuova Zelanda, con una cifra espressiva e una motivazione inconfondibili, che lo hanno condotto a sovvertire radicalmente, con lirico rigore, il rapporto stesso tra l’edificio abitato dall’uomo e la terra, anticipando varie tendenze della architettura contemporanea.
Peter Doig (1959), pittore inglese, oggi tra i più affermati, ha mosso i primi passi nel contesto della New York dei grafitisti dei primi anni ’80, per inaugurare poi una ricerca basata sulla uscita dallo spazio metropolitano e sul ritorno a contatto con tutte le culture del pianeta. Nomade, non solo per interessi artistici, ma per una intima pulsione al viaggio – in cui rivive non poco del modello, divenuto mitico, di Paul Gauguin –, Doig ha prodotto una pittura che ha caratteri mobilissimi, in dialogo con esperienze simboliste, pre-espressioniste e fauviste, tipiche del passaggio fra i secoli XIX e XX, una pittura che ha assunto caratteri personali e fortemente autobiografici. Su tale base ha ripreso il rapporto col mondo occidentale, rappresentandone gli aspetti quotidiani con contaminazione di memorie e luoghi, a volte molto remoti, che creano sintesi immaginative davvero “globali”.
Jonas Burgert (1969), erede berlinese della Nuova Oggettività tedesca degli anni ’20-’30 del Novecento, ha tenuto una grande mostra al Mambo di Bologna, in cui si coglieva una visione, a dir poco, “apocalittica” del nostro tempo (con risonanze estese fino alle terribili metamorfosi cruente di Hieronymus Bosh, ma anche a quelle più “realistiche” di Francisco Goya del periodo “nero” e delle incisioni). I grovigli umani e materici, i cumuli di rifiuti, gli abissi che si spalancano in stazioni della metropolitana, i cortei di lemuri, in un assurdo carnevale di maschere nude e tumefatte, di volti di tutte le razze umane e di stati d’animo innominabili fra meta-sadismo e meta-masochismo sono un documento che non lascia dubbi su ciò che Burgert avverte celato nella nostra vita quotidiana. Eppure, anche nelle prospettive più agghiaccianti, emerge un’assoluta volontà d’ordine, di contrapposizione al caos, che ha un carattere etico, e chiude il cerchio fra “resistenza” e desiderio di “autoprogettazione” della propria vita davvero “nonostante tutto”.
Si intende in questo modo contribuire alla creazione di quel “clima immaginativo” preliminare, come lo si è definito in precedenza, che risulti utile da un lato a stimolare una progettualità aderente alla realtà urbana su cui si vuole intervenire nel contesto del progetto relativo al Distretto Montagnola, dall’altro a recepire lo spirito nei nostri tempi, che può esser comunicato a nuove menti e mani dagli artisti che abbiamo presi in considerazione.
L’apporto di un pittore come Nicola Nannini garantisce il passaggio dalla teoria alla pratica, il quale avrà un primo momento nel weekend al Villaggio della Salute Più, da cui, con l’illustrazione di altre esperienze di arte e architettura in rapporto allo spazio, dovranno scaturire idee e abbozzi di progetti volti al suddetto risanamento urbano.
Siete invitati anche a questi altri due appuntamenti presso il Villaggio della Salute Più – Via Sillaro 27, Monterenzio (BO):
16 settembre 2017
a cura di Roberto Cresti e Nicola Nannini
Ingresso libero
17 settembre 2017
coordinati da Nicola Nannini
Su invito
Partecipanti: Teresa Johanna Palombo (Università di Macerata, laurea specialistica); Elisa Elfrioni (Università di Macerata, laurea specialistica); Francesco Roviello (scultore, docente Accademia di belle arti, Firenze); Antonella Castella (decoratrice professionista e costumista); Cecilia Riccardi (laureanda in architettura, Università di Ferrara); Benedetta Ferrari (laureanda in ingegneria edile e architettura, Università di Bologna); Massimo Vagliviello (studente Accademia di belle arti, Bologna); Pierantonio Tanzola (artista, docente dell'Accademia Cignaroli di Verona), Roberto Terra (architetto), Giacomo De Giorgio (studente Accademia di belle arti, Bologna).
A chiusura di questa tre giorni verrà redatta una sintesi con le idee emerse durante il cantiere, che verranno proposte al Comune di Bologna.